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La California brucia ed il motivo potrebbe essere una rete elettrica obsoleta.

La California sta bruciano come mai prima, con conseguenti disastri da cui a fatica si riuscirà a riprendere, ma ciò che deve preoccupare è la natura profonda ed estremamente insidiosa che emerge del Climate Change. Quale sarà la prossima terribile sorpresa? Tale violento ed imprevedibile cambio di paradigma svela il significato di ciò che ci aspetta per il futuro. Se non facciamo qualcosa, in fretta.

La California è alle corde: un allarme rosso estremo (red flag warning) interessa le contee californiane fino a quelle dell’Arizona. 26 milioni di persone, migliaia di ettari andati in fumo, black out di energia, interi quartieri bruciati, venti a oltre 100km/h, auto elettriche ferme senza possibilità di essere ricaricate.

Insomma se si volesse rappresentarlo come un girone dantesco, o come una contemporanea apocalisse, non si farebbe probabilmente danno. E tutto ciò mentre gli Stati Uniti forzano per uscire dall’accordo di Parigi, nonostante il loro livello di emissioni di CO2 procapite sia più del doppio di quello Europeo, ed addirittura di quello Cinese (in queste ore il Presidente Xi Jinping ha invece rafforzato la collaborazione nella direzione della decarbonizzazione assieme al Presidente Francese Macron).

Forse questo 2019 è stato davvero un anno horribilis per la quantità di ettari di foreste andate in fumo e per come l’uomo ha reagito o ne è stato causa: in Amazonia le foreste bruciano per permettere agli allevatori di far crescere la propria filiera ed industria. In Siberia più 400 incendi per aumento delle temperature.

Ed in California? Vi siete mai domandati come mai questi incendi continuino ad accadere sempre nelle stesse zone e la cosa non sorprenda quasi mai se non nella dimensione della devastazione?

Ebbene, il climate change ha molto a che fare con il loro divampare perché è sicuramente causa di fenomeni atmosferici sempre più violenti ma, dietro a tutto, potrebbero esserci  banali questioni riconducibili alla configurazione tecnica delle rete di trasmissione dell’energia elettrica che, vetusta e poco efficiente, avrebbe bisogno di consistenti investimenti per essere rinnovata.

People walk past fallen transformers along Parker Hill Road in Santa Rosa, Calif. on Tuesday, Oct. 10, 2017. (Nhat V. Meyer/Bay Area News Group)

Le centrali continuano a produrre energia da fonti fossili, aumentando le emissioni di CO2 ed acuendo i fenomeni atmosferici generati dal climate change. Le reti che distribuiscono quell’energia, già obsolete, sono sempre meno sicure, e finiscono per subire ogni anno sempre più danni, causando una sempre maggiore devastazione che impatta sullo stato di saluta di quella natura che dovrebbe proteggerci dai cambiamenti climatici, equilibrando i livelli di CO2. In pratica siamo in “loop” negativo che è uno di quegli effetti di “negative feedback” regionali antropogenici che stanno accelerando il riscaldamento globale ed i cambiamenti del clima.

A volte i giornali americani parlano di “Big Call for de-energyzing the power grid during wild fires“, o ci ricordano che “Utilities delayed effort to map power line risk to wildfires” (2017), ed a leggere queste notizie c’è da rimanere sbigottiti di come una simile banalità possa essere causa di danni sì enormi.

Ad analizzare puntualmente i fatti, ed un accadimento in particolare, è uno dei nostri ingegneri basati in Canada, con un racconto che non lascia spazio ad interpretazioni e richiederebbe la massima attenzione da parte dell’opinione pubblica mondiale e delle autorità Statunitensi per avviare un piano di investimenti massicci orientato anche a rinnovare la distribuzione dell’energia.

Analizzando tutti gli elementi che concorrono ai disastri riconducibili al climate change quanto stiamo per dire è estremamente importante. L’attuale configurazione e tecnologia di trasmissione dell’energia, la rete, non è più in grado di affrontare gli eventi atmosferici conseguenza del climate change stesso.

Quando accadde a New Orleans, a causa delle forte inondazioni di acqua, supporti delle rete elettriche caddero a terra come foglie dagli alberi in autunno, ma lì, parve a tutti più normale.

In California c’è invece un enorme problema nelle linee di distribuzione nelle aree rurali: lunghe linee sospese che attraversano aree con molti alberi ed erba (poi sempre più secca nelle stagioni aride).

La causa degli incendi è rappresentata dagli alberi che abbattuti dal forte vento cadono sulle palizzate o sui cavi di trasmissione abbattendoli. Eventi che capitano regolarmente, con sempre maggiore frequenza, da circa 100 anni e che hanno serie conseguenze, come si è potuto vedere.

Se nei decenni passati si è riusciti a “controllare” il fenomeno, negli ultimi tempi il climate change ha cambiato completamente lo scenario e gli “outcome” – d’altronde ci si può non aspettare nuove conseguenze con nuove circostanze e nuove forze in gioco -.

Quanto accade, al momento della caduta a terra del palo di trasmissione è un corto circuito: la corrente elettrica si scarica a terra, con una magnitudine di circa 10 volte il carico effettivo trasmesso dalla rete. I fusibili sulla linea a quel punti si squagliano e la corrente viene tagliata. Questo è il metodo di prevenzione pensato e messo in atto.

Ma il climate change si impone con due nuovi problemi: venti molto più forti causano sempre più cadute e le condizioni di terreno molto più asciutte hanno l’effetto di ridurre la magnitudine del corto circuito (i fusibili non saltano più) e sono, ovviamente, molto più favorevoli a che si inneschi un incendio. Alberi molto secchi appoggiati alle linee di trasmissione, o linee di trasmissione distese su terreni molto secchi, fanno sei che in pratica il corto circuito non avvenga (gli oggetti secchi sono isolanti), impedendo ai fusibili di fare il loro dovere, ovvero fondersi.

SANTA CLARITA, CA – JULY 24: A burning oak is seen in Placerita Canyon at the Sand Fire on July 24, 2016 in Santa Clarita, California. Triple-digit temperatures and dry conditions are fueling the wildfire, which has burned across at least 32,000 acres so far and is only 10% contained. (Photo by David McNew/Getty Images)

 

Le linee a quel punto iniziano a sibilare e fare scintille, quasi sicuramente rendendosi causa dell’innesco dell’incendio su alberi o a terra. E’ la tempesta perfetta, ed è il motivo per cui la PG&E (Pacific Gas & Electric) ha dovuto staccare la corrente a milioni di persone.

Le persone lo sanno ed accusano la PG&E di cattiva manutenzione, e la cosa è diventata talmente seria che qualcuno ha spinto un furgone della PG&E fuori strada in questi ultimi giorni.

Una perfetta manutenzione, tagliare alberi e cambiare i pali aiuterebbe. Ma, purtroppo, la causa del problema è il sistema di protezione che si deve attivare in caso di protezione (fusibili e relais), nonché  l’architettura del sistema di distribuzione, troppo obsoleta per pensare che possa funzionare in quest’era di rischi collegati al climate change. Una soluzione sicura al 100% sarebbe quella di passare ad una costosa rete sotterranea per distribuire l’energia (come quella che si ha nella maggior parte delle zone Europee, o Italiane perlomeno). Ma PG&E proverà dapprima sicuramente ad intervenire con strategie di controllo.

Certo Solar Power Network, noi, ci occupiamo di solare, e quindi, cosa c’entriamo?

Ebbene, cominciamo con il dire che, anche se il climate change sarà un motivo spinta per la diffusione del solare, come azienda che porta tale missione nel mondo dal 2009, siamo profondamente tristi e sconvolti da un mondo orami giunto sull’orlo della catastrofe. Il partito dei negazionisti Conservatori ha perso le elezioni federali in California proprio perché le persone alla fine sono intelligenti a sufficienza per collegare le catastrofi come gli incendi al climate change.

Ma ora ci sono da contare i danni per milioni di persone e tante aziende che non hanno subito l’assenza di fornitura di energia elettrica per giorni e settimane. Certo, ciò porterà a ripensare gli edifici in modo che possano essere più resilienti ed il solare residenziale o commerciale ne potrà beneficiare.

Dal nostro punto di vista ci aspettiamo che il trend di aziende istituzioni nell’abbracciare la lotta al climate change possa finalmente tramutarsi in azioni concrete e positive, magari fino addirittura ad una rinascita della politiche green in Canada (Nazione che si sta surriscaldando ad un ritmo doppio di quello globale).

Quale sarà la prossima terribile sorpresa? Tale violento ed imprevedibile cambio di paradigma svela il significato di ciò che ci aspetta per il futuro. Se non facciamo qualcosa, in fretta

Green solar PPA

I Green PPA arrivano in Italia e siamo pronti ad investire 100mln€ al fianco delle aziende

A sottoscriverli negli Usa anche Apple, Facebook e Microsoft, sfiorando i 4,5 GW di potenza installata nelle fonti rinnovabili, soprattutto fotovoltaico ed eolico, su un totale mondiale di 8 GW destinato a questa formula. L’Italia inizia ora ma parte bene, perché il nostro è un Paese privilegiato per la quantità di energia che il sole trasmette sulla superficie terrestre.

 

Per i Power Purchasing Agreement “verdi” («Green PPA») è boom a livello mondiale, forti della tendenza globale verso una sempre maggiore diffusione del fotovoltaico che è in costante ascesa sia nei mercati maturi che nei Paesi emergenti come la Cina.

 Un Paese come l’Italia, poi, è privilegiato per la quantità di energia che il sole trasmette sulla superficie terrestre e che è possibile sfruttare attraverso la tecnologia fotovoltaica. 

 Proprio per questo motivo, in quanto leader mondiale nel settore del fotovoltaico industriale, abbiamo scelto l’Italia per avviare lo sviluppo Europeo, con un piano di investimenti di 100mln€ per aiutare le aziende che vogliono avviare una transizione energetica basata sulle rinnovabili attraverso soluzioni “capital free”. 

 

Nel mondo nei primi 6 mesi dell’anno si sono siglati contratti di «Green PPA» per un totale di circa 8 GW di potenza installata nelle fonti rinnovabili, soprattutto fotovoltaico ed eolico. Nella classifica Solar Power Network troviamo al primo posto gli Stati Uniti, dove i «Green PPA» nel primo semestre 2019 sfiorano i 4,5 GW, sottoscritti prevalentemente dalle grandi multinazionali.

 In merito ai contratti a lungo termine per l’acquisto di energia rinnovabile, in cima alla lista vi sono le grandi società americane del settore informaticobig player come AppleFacebook e Microsoft, che, per prime, hanno iniziato a puntare sui «Green PPA» aziendali per avvicinarsi il più possibile all’obiettivo, in taluni casi anche pienamente raggiunto, di utilizzare il 100% di elettricità pulita.

In Europa, con l’eccezione dei Paesi nordici, vi è invece molto ritardo. Ma in questo ambito l’Italia, dove «Green PPA» sono una completa novità, offre le migliori possibilità di sviluppo.

 

Questo nuovo modello di business nel Belpaese è destinato a fare un boom, come accadde all’inizio per i Certificati Bianchi e per la White-Economy

 

E vero è infatti che il fotovoltaico in Italia continua a crescere, soprattutto sul fronte dell’autoconsumo. Nel nostro Paese gli impianti fotovoltaici in esercizio sono oltre 800.000, per una potenza installata di circa 22.000 MW ed una produzione complessiva di 26,8 TWh di energia.

 Sul fronte dell’autoconsumo i numeri in Italia sono molto rilevanti. L’energia elettrica non immessa nella rete di trasmissione o di distribuzione ma utilizzata nel luogo di produzione è infatti pari al 22% della produzione complessiva degli impianti fotovoltaici, con una crescita annuale Italia del 2,5%. Ad aggiungersi a questi dati consolidati che riguardano un’azienda su 5, la possibilità per le altre 4 di scegliere le rinnovabili per la produzione della propria energia senza dover affrontare investimenti o rischi di costruzione e gestione, grazie al Corporate PPA promosso da Solar Power Newtork ed agli ingenti investimenti pianificati.

 

Il modello di business di Solar Power Network (SPN) è proprio quello di realizzare gli impianti fotovoltaici per “autoconsumo”, con la formula del PPA che consente al cliente di veder realizzato gratuitamente l’impianto sulla base delle proprie esigenze energetiche elettriche, attraverso l’acquisto mensile dell’energia prodotta dall’impianto, ad un prezzo più basso di almeno il 20% di quella precedentemente acquistata dalla rete.

 

«Così si può passare all’energia rinnovabile a costo zero, senza assumersi l’onere dell’acquisto ed installazione di pannelli solari o quant’altro e dopo appena 10 anni il cliente può decidere di riscattare l’impianto, pagando il 20% del suo valore iniziale, o di proseguire nell’acquisto dell’energia per altri 5 anni ed ottenere così senza oneri la piena proprietà dell’impianto» spiega l’ingegner Peter Goodman, presidente e ceo di Solar Power Network.

Il solare in Italia cresce e si evolve – Classifica 2019

A fine 2018 la potenza totale installata arriva a toccare i 20 GigaWatt e già oggi, a metà 2019, si parla di 22. La crescita su base annua è più forte se analizzata dal punto di vista del numero di impianti (+6,2%, per un totale di 822.000), piuttosto che della potenza ferma, ferma al +2,5%.


Partiamo dalla domanda di base, ovvero perché sia importante monitorare l’andamento della diffusione del solare, in Italia come nel resto del Mondo. Il problema condiviso da tutti, a livello globale, e che il solare può aiutare a fronteggiare rapidamente, è quello delle emissioni climalteranti (CO2 o CO2 equivalente). Il G20, e tutti gli altri d’altronde, è in un ritardo incredibile nella possibilità di contenere l’aumento delle temperature medie al di sotto dei 2°C: Nature, la più famosa rivista scientifica interdisciplinare,  di recente ci ha avvertito affermando che dobbiamo addirittura aumentare gli sforzi per avere tra il 50% ed il 60% delle possibilità di contenere l’innalzamento, e la verità è che oggi siamo globalmente proiettati verso dei livelli doppi (848Gton/y di CO2) rispetto a quelli necessari (420Gton/y di CO2).
   

Il solare è l’unica fonte rinnovabile che ha le capacità per tempi e costi di installazione (LCOE più basso di tutte le altre fonti, in particolar modo per la taglia industriale) di far fronte all’attuale emergenza. Inoltre, se pensato in autoconsumo, o abbinato a dei sistemi di accumulo, è un tipo di soluzione che non sbilancerebbe il funzionamento della rete, anzi ne potrebbe destinare ingenti quote per una suo riconfigurazione in ottica mobilità elettrica.


Arriviamo quindi all’Italia ed al suo posizionamento rispetto agli altri Paesi con cui compete e verso cui esporta, non dimentichiamolo.


L’Italia è la 4a nel G20 per diffusione delle fonti Wind&Solar (assieme) rispetto alla produzione totale di energia elettrica, con una penetrazione pari al 18%. Essere quarti non è male, ma esserlo dietro a Germania e Regno Unito, dove la disponibilità della risorsa è decisamente più bassa, e dietro al Portogallo, dove l’industrializzazione è molto bassa (e quindi hanno giustamente intuito la necessità di sviluppare una forte vocazione a porsi come leader Europei per la produzione di energia “green”), non può essere un vanto. Da notare che i Paesi a più bassa dipendenza dalle fonti fossili, come il Canada ed il Brasile, si sono affidati molto all’idroelettrico, e non hanno sviluppato soluzioni alternative e si ritrovano oggi nelle condizioni di subire per primi gli effetti del cambiamento climatico (in grado di influire pesantemente sulle disponibilità della fonte) o essendo i primi ad impattare sugli ecosistemi (a causa di necessarie dighe o bacini di accumulo).
   
In termini di produzione assoluta, la situazione è nettamente peggiore. L’Italia produce solamente 44TWh/y da fonti rinnovabili (di cui poco più del 50% dal solare, nota positiva), ben dietro a molti altri Paesi che sulle rinnovabili hanno non solo basato un modello di sostegno al proprio tessuto industriale, ma vi hanno creato una vera e propria industria.
 



Infine giungiamo alla classifica interna delle Regioni più virtuose per diffusione del fotovoltaico.

 
A guidare la classifica interna Italiana sono Puglia, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Le quali assieme fanno il 45% dell’intera potenza installata in Italia (dati 2018):
  • Puglia: 2.652 MWp, +0,75% crescita Potenza, +4,6% crescita Numero;
  • Lombardia: 2.303 MWp, +3,43% crescita Potenza, +7,4% crescita Numero;
  • Emilia-Romagna: 2.030 MWp, +2,39% crescita Potenza, +6,7% crescita Numero;
  • Veneto: 1.912 MWp, +3,21% crescita Potenza, +7,6% crescita Numero;
In Puglia si registra quindi una frenata alla diffusione dei grandi impianti e si inizia ad investire di più sulla taglia industriale (la taglia media di un impianto è 55kWp, più del doppio della media Italiana attestata a 25kWp circa). A fungere da locomotiva per la diffusione del solare in questi anni di maggiore necessità, soprattutto verso l’autoconsumo sono quindi le tre regioni più industrializzate e ad oggi anche quelle più in salute economicamente e meno in salute in termini di qualità dell’aria.

 

 

Tale comportamento è quindi un’ulteriore testimonianza della possibilità che il sistema tutto, politico, imprenditoriale (economico) e sociale, almeno in queste tre regioni, abbia capito come il solare sia la soluzione più rapida ed efficace per produrre degli effetti benefici sulla qualità dell’ambiente anche a livello locale.

 


Una nota di colore: le province di Lecce, Brindisi, Bari assieme, cubano circa 1,6GWp di potenza installata, valendo da sole come tutto il Piemonte e ben più di altre regioni come il Lazio, la Toscana, la Campania, la Sardegna dove avrebbe senso per condizioni del tessuto socio-economico (mix tra costo energia e densità industriale) investire pesantemente nel fotovoltaico (preferibilmente in autoconsumo).

Le emissioni di CO2 in Europa sono in aumento.

Nonostante gli sforzi profusi dal 2000 al 2015, in cui si era registrato un calo delle emissioni anche a causa della crisi economica – freno alla crescita industriale – negli ultimi anni l’Europa non è riuscita a rilanciare i propri sforzi nella transizione energetica, registrando così un aumento delle emissioni di CO2 in atmosfera.

 

Enerdata ha pubblicato dei dati molto interessanti su quanto stia in effetti rallentando lo sforzo globale verso una decarbonizzazione dei sistemi di produzione dell’energia, ma anche dei sistemi in cui viene utilizzati, ovvero una volta arrivata presso la “black box” del consumatore, azienda o privato che sia. Chiaramente dei due, la dimensione su cui attivarsi più rapidamente e con maggiore efficacia è quella dove si produce l’energia elettrica.

Nonostante il grande parlare da circa vent’anni delle rinnovabili la triste verità è che oggi rappresentano solo una piccola quota nella produzione dell’energia globale, ancor più inferiore si parla in senso più ampio anche della generazione del vettore termico. Il grafico IEA 2018 , riportato qui sotto ci mostra la realtà all’anno 2016, dove è evidente che carbone, gas naturale e oli combustibili la fanno da padrone.

 

Primary Energy supply by source

Migliore è la situazione se si considera la generazione elettrica in modo più specifico: qui a spiccare, come d’altronde si poteva notare dal precedente grafico, è la fonte “hydro” ovvero l’idroelettrico, sicuramente una tecnologia che ha permesso a Paesi come il Brasile ed il Canada di raggiungere percentuali molto importanti di rinnovabili – superiori al 60% – ma che non da stabilità al sistema nazionale a meno di forti impatti sulla morfologia idrogeologica del territorio. Il Solare che, vogliamo ricordarlo, è la fonte di energia più abbondante per il nostro Pianeta, ha ancora una quota di decisa minoranza, ma la buona notizia è che dal 2017 (dato non riportato) in Paesi come la Cina sta registrando dei trend di crescita da record assoluto.

 

 

Ecco i trend delle emissioni di CO2 di enerdata: lo scenario dipinto ci dice che siamo ben lontani dal raggiungere gli obiettivi per il 2030 stabiliti dagli accordi di Parigi nel 2015.

CO2 emission trends

 

2005-2015: La Cina aumenta sensibilmente di anno in anno le emissioni di CO2 per supportare la propria crescita industriale ed economica sospinta da fonti fossili. Nel frattempo USA e EU28 producono degli sforzi nella direzione opposta (il dato è comunque influenzato dalla crisi economica globale).

2016: La Cina sembra avere un rallentamento coincidente con la prima fase di diffusione delle rinnovabili, mentre negli USA ed EU28, nel primo caso anche per una ripresa industriale, i risultati vengono meno.

2017: La Cina riprende la sua crescita ma riesce a calmierare gli effetti grazie all’avviata stagione delle rinnovabili. Gli USA si mantengono stabili mentre la EU28 perde il suo abbrivio verso la transizione energetica e torna a crescere nelle emissioni, un segnale assolutamente catastrofico visti gli eventi che oramai sconvolgono il mondo e la sempre più condivisa coscienza sul tema.

Per raggiungere gli obiettivi 2030 stabiliti a Parigi, tutti i Paesi del G20 dovranno quindi prodursi in un enorme sforzo collettivo verso le rinnovabili che dimezzi il trend di crescita di emissioni della Cina e riporti USA e EU28 a livelli comparabili a quelli della prima, obiettivo estremamente sfidante se si considera che è oggi è prioritario che tale sostenibilità sia perfettamente integrata in strategia di consistente crescita economica.

 

 

La questione diviene ancor più eclatante se si confronta un altro dato, ovvero le emissioni di CO2 pro capite in queste tre grandi aree economiche. Ecco cosa ci mostra sempre enerdata:

CO2 emission pro capita

 

2005-2015: La Cina ha aumentato incredibilmente la propria quota di emissioni pro capite. USA ed EU le hanno invece progressivamente diminuite, i primi con più grinta.

2015-17: Gli USA continuano a ridurle anche se flebilmente, mentre in Europa i livelli si stabilizzano, se non riaumentano.

Il dato incredibile è che la Cina si è attestata agli stessi livelli della EU28, mentre gli USA sono oltre il doppio dei due singoli Paesi.

 

Secondo i nostri calcoli ecco cosa dovrebbe fare ogni singolo Paese del G20 per raggiungere gli obiettivi 2030:

Per raggiungere gli obiettivi 2030 in termini di emissioni, ogni singolo Paese del G20 dovrebbe ridurre le proprie emissioni di 3 GigaTons di emissioni di CO2 equivalenti fino a quella data.

Parlando di energia elettrica, considerando che ogni TWh prodotto da solare riduce, in una media globale, le emissioni di 1,81 MTon di CO2, ogni Paese dovrebbe portare almeno 150TWh/y di generazione da solare.

Cosa significa per l’Italia? In Italia si producono circa 295TWh di energia all’anno, di cui solo il 35% da rinnovabili (con una quota sul totale assegnata ad eolico e solare pari al 16% circa). Dunque significherebbe trasformare le rinnovabili nella principale fonte di produzione dell’energia elettrica (più che raddoppiare la quota generale), arrivando ad installare altri 127 GWp di potenza (se riferito al solo solare).  E’ chiaro che lo sforzo non potrà essere solo sostenuto dal Solare, ma il segnale risultante è chiaro.

 

Oggi la produzione annuale da Wind & Solar di tutto il G20 è pari a 1.500TWh/y, e per raggiungere gli obiettivi 2030 stabiliti negli accordi di Parigi si deve triplicare tale valore portandolo ad un totale di 4.500TWh/y.

Quanto potrà fare il solare è sicuramente molto, dato che per flessibilità e disponibilità della fonte è di gran lunga la miglior tecnologia, tra l’altro quella con il minor LCOE se presa in considerazione su scala industriale / commerciale o utility.